Zio Vania, uno dei capolavori del teatro di Čechov, è andato in scena alla Galleria Toledo il 17 e 18 Giugno e sotto la direzione del giovane attore e regista argentino Marcelo Savignone è diventato Un Vania, uno qualsiasi, attuale, universale e contemporaneo che, come la maggior parte degli eroi cechoviani annoiati, inerti e incapaci di agire, vive di miraggi.
Gli attori Paulina Torres (Elena Andreevna) Maria Florencia Alvarez (Sonja Aleksandrovina, nipote di Vania), Merceditas Elordi (Marija Vasilevna vojnickij, madre di Vania), Luciano Cohen (Michail L’Vovic Astrov, medico e amico di famiglia), Pedro Risi (Ilja Ilic Telegin, un possidente impoverito) e Marcelo Savignone (zio Vania), tutti bravissimi e degni di nota, entrano ed escono dalla stessa porta al centro della scenografia (ideata da Lina Boselli) che però non si apre mai sull’esterno della “gabbia” familiare che imprigiona i destini dei protagonisti. Il professor Aleksandr Serebrjakov, personaggio intorno a cui ruota la storia, diventa, nella pièce di Savignone, un pupazzo inanimato, un tronfio feticcio per il quale tutti si affannano ed al quale nessuno osa opporsi; gli aneliti d’amore si perdono in sterili sogni come quelli che fa Vania. Serebrjakov è un burattinaio che muove i fili delle vite di coloro che lo circondano e Savignone lo trasforma invece in un burattino, un manichino. Ciò non ribalta però questa visione anzi la rafforza perché tutti sono, ancora di più, costretti a stare intorno alla figura di quest’uomo, questa gloria di stoppa che, pur essendo inanimato, fa sentire la sua forte presenza, come quando Elena e Sonja agognano musica, come la natura secca brama la pioggia, e non potranno suonare perché il professore riposa. Il dialogo non è un tramite di comprensione nelle commedie di Čechov e il Vania di Savignone, nei suoi soliloqui sulla noia e lo squallore del fallimento familiare, si rivolge alla platea, illuminato da una psichedelica luce rossa, quasi alla ricerca di qualcuno in grado di percepire il suo dolore.
Savignone propone un’originale e interessante rilettura della commedia di Čechov dove la cultura russa si mescola a quella argentina anche nella scelta delle musiche e dei costumi ideati da Mercedes Colombo, e riesce a coinvolgere il pubblico con grande intensità nell’opera cechoviana avvolgendola in un’atmosfera surreale e onirica dove i sentimenti repressi sono convertiti in una danza spasmodica e i personaggi, ai limiti della follia, si muovono a vuoto, in maniera esasperata urtano contro i mobili che li circondano, cadono e poi si fermano tornando nel torpore che attanaglia le loro esistenze.